Gli anni dell’autarchia: il canapafiocco

Sotto il fascismo, quando in conseguenza delle sanzioni economiche imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni per aver invaso l’Etiopia, vennero a mancare alcuni rifornimenti di materie prime, il governo per ammortizzarne gli effetti, a partire dal 1936, puntò sull`autosufíicienza economica, cioè sull’autarchia, rinunciando alle importazioni.
L`intento autarchico è perseguito trasformando la struttura produttiva nazionale, per metterla in grado di produrre da sé quanto, prima, otteneva dal commercio internazionale.
Anche per ragioni di propaganda, il regime pubblicizza i prodotti italiani, di cui una parte considerevole riguarda i filati.

L’industria del cotone fu gravemente colpita dalle restrizioni autarchiche. Dopo la crisi essa non solo non riuscì a tenere il passo con la crescente diflusione delle fibre artificiali, ma dovette anche rivolgersi in misura sempre più larga alla lavorazione dei filati e dei tessuti di fiocco e raion o misti, mentre quelli di puro cotone venivano fortemente riducendosi (fino al 60% del totale) come si riducevano le importazioni di materie prime scese, dopo il 1930, da 200.000 a 150.000 t. e, nel 1939, a 110.000 t. con una più alta partecipazione, però, dei più fìni cotoni egiziani al posto di quelli provenienti dall’India.

Assai elevata si mantenne invece l’esportazione, volta ai mercati europei e, adesso ancor più, a quelli africani e alle colonie, sicché nel 1936-40 il valore delle esportazioni cotoniere superava, per la prima volta nella storia dell’industria, quello delle importazioni; ma a tanto si era giunti grazie al fatto che il mercato interno veniva ora rifornito in buona parte con manufatti di fibre artificiali, mentre la disponibilità di cotonate pro-capite, che nel 1901-10 era stata di 4 kg, scendeva a meno di 3 kg.

(Rosario Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, 1861/ 1961, pag. 183)

Nel periodo autarchico la canapa, fibra tessile italianissima, fu chiamata a compiere un ruolo di primo ordine. Essa andò a sostituire parzialmente il cotone, nelle più importanti applicazioni. La coltura della canapa, che nella seconda metà del secolo XIX impegnava zone vastissime (circa 120.000 ha. nel 1876-1882), con una produzione annua media di oltre 900.000 q., aveva subito poi una notevolissima contrazione, scendendo, con alterne oscillazioni, sino a 536.000 q. nel 1931.
Da allora, grazie aIl`eccezionale attenzione rivolta dal regime fascista ai problemi legati al mondo canapiero, ebbe inizio una graduale ripresa che toccò i 798.000 q. nel 1936 con una superficie coltivata di 75.590 ha., per raggiungere nel 1937, 1.200.000 q. circa con una superficie a coltura di 95.000 ha. Nacque così una vera e propria politica economica della canapa, che fu capace di trasformare l’interesse privato dei singoli coltivatori in quello di una intera nazione. Durante l’autarchia, fu a Forlì, centro di elezione della produzione della canapa, che si definirono le linee di fondo del Piano per le fibre tessili nazionali, settore ritenuto la spina dorsale dell’economia produttiva del Paese, ribattezzato anche la seconda battaglia del grano.
Tra il 12 e il 31 dicembre 1936, nella cittadina romagnola si tenne una mostra-convegno, nelle cui sale e nelle relazioni degli esperti furono presentate le diverse fibre, tra le quali il canapafiocco, il cosiddetto cotone italiano.

Punto di partenza del processo per ottenere la canapafiocco era la disintegrazione delle fibre liberiane (liberiane perché contenute nel libro, ovvero nella parte compresa tra corteccia e fusto), allo scopo di trasformare la filaccia di canapa in un materiale in fiocco, passibile di essere filato e tessuto sul comune macchinario per cotone. Detta trasformazione consisteva nella scissione dei fasci fibrosiin singole fibrille o in fasci fibrosi meno complessi. Questa trasformazione veniva attuata mediante opportuni trattamenti chimici capaci di sciogliere le sostanze cementanti di carattere pectico che tengono aderenti le fibrille nei fasci stessi.
Il trattamento chimico comprendeva una fase alcalina e una acida: la prima veniva realizzata mediante bollitura con liscivia a base di idrato o carbonato sodico, alla pressione ordinaria o sotto pressione; la fase acida si compiva in presenza di cloro, immesso sotto forma gassosa o prodotto allo stato nascente nel recipiente stesso. La circolazione dei bagni avveniva sotto pressione, il più delle volte con periodiche inversioni della direzione. Il trattamento al cloro (ambiente acido) esercitava anche azione di candeggio. I singoli trattamenti chimici erano seguiti da accurati lavaggi. La parte chimica del ciclo produttivo si concludeva con un trattamento di avvivaggio ed ammorbidimento della massa fibrosa, mediante prodotti speciali. Interveniva poi l’asciugatura per mezzo di centrifughe ed essiccatoi. Dopo l’asciugatura il fiocco veniva depositato in locali di condizionamento a umidità adatta e passato quindi all’apertura o sfioccatura o precardatura, realizzata con gruppi di macchine adattate allo scopo (diavolotti, sfilacciatrici, organi cardanti diversi, ecc.), in uso nel ciclo di lavorazione del cotone. Il canapafiocco si presentava come massa fibrosa bianca e morbida, con una lunghezza di fibra variabile da pochi millimetri a circa 40 mm.
Nel 1937 l’industria cotoniera ne consumò 5 milioni di kg. Esso trovò larga applicazione (filato sino al titolo 24) in miscela col cotone, sia per la creazione di tessuti fantasia, sia per tessuti comuni di grande consumo, quali tele, tovagliati, canovacci, tessuti militari, ecc. La prima iniziativa industriale la si deve proprio agli Abegg con la creazione del Sodolin, filato misto di cotone e di canapa linizzata che ridusse di alcuni milioni di chilogrammi l’importazione di cotone dall`estero.

S. Sacco, CVS Cotonificio Valle Susa, Edizioni del Graffio, Borgone Susa (TO) (2018)